Lugocontemporanea 2020

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Comunicato stampa

RESET
[Festival della Morte e della Palingenesi]
dedicato a Franco Ranieri
XVI edizione

28, 29 LUGLIO 2020
Pavaglione – Lugo di Romagna

Celebra sedici anni di attività Lugocontemporanea, il Festival di Musica in dialogo con le altre forme espressive che quest’anno si svolgerà il 28 e 29 luglio in Piazza Mazzini, all’interno del Pavaglione.

Questa non sarà una edizione come le altre: Franco Ranieri, uno dei soci fondatori di Lugocontemporanea e uno dei più illuminati, lungimiranti e appassionati catalizzatori politico-culturali dell’Emilia-Romagna, è venuto a mancare il 23 marzo 2020 per una insospettabile malattia fulminante che nulla ha avuto a che vedere con il Coronavirus.

Franco Ranieri non è più con noi, ma la sua ricerca e le sue riflessioni permeano ogni scelta artistica della rassegna. Con inesprimibile dolore i restanti soci John De Leo e Monia Mosconi gli dedicano Lugocontemporanea 2020.

La nuova edizione che ha per sottotitolo “RESET – Festival della Morte e della Palingenesi” sarà supportata da Ravenna Festival, l’importante organizzazione culturale fondata da Cristina Mazzavillani Muti. E di questo sodalizio Franco sarebbe molto contento.

Come ogni anno, il tema di Lugocontemporanea costituirà per gli artisti invitati uno stimolo creativo da cui trarre ispirazione e da interpretare liberamente.

Morte.
È una parola che fa paura.
È la parola più rimossa nella nostra cultura, nella cultura occidentale.
Non viene evitata quando riguarda gli altri, quando sembra non toccare la nostra vita.
Eppure è sempre presente: almeno da che si esce dall’infanzia, da quando si impara a conoscere la sua esistenza.
È associata alla parola dolore: altro concetto rimosso.
Spesso la nostra strategia di vita è basata sulla rimozione sistematica del dolore e della morte.
Si rimane sospesi in un limbo che toglie significato alle cose.
Come si suole dire «si butta via il bambino con l’acqua sporca».
Senza la morte le cose perdono di senso: senza di essa il piacere, la gioia, anche nella loro accezione più alta, perdono significato, sapore, trascinati in un limbo fatuo e superficiale in cui vengono sostituiti da valori consumistici, dalla possibilità di acquistare beni materiali.
C’è sempre.
Ci accompagna.
È necessaria.
Non bisogna avere paura.
Non si deve avere paura.
Non bisogna associarla solo alla morte fisica.
Si muore in tanti modi.
Si deve morire per potere rinascere: capita tante volte, spesso neanche ce ne accorgiamo.
A volte vorremmo far morire alcune cose: non ci riusciamo! Sono ostinate! Sopravvivono!
Muore un amore, muore un’epoca, muore una possibilità che non abbiamo colto. La necessità di una palingenesi nel nostro mondo, nella nostra cultura, ci spinge ad affrontare un tema così scabroso.
Saranno gli ospiti di questa edizione di Lugocontemporanea a svelarci nuove prospettive, nuovi punti di vista, con i loro racconti e con la loro musica.
Non ci sentiamo dei menagrami, anzi siamo allegri.
Questi appunti sono stati scritti da Franco il 13 febbraio scorso.

Ne parlava da mesi, prima, molto prima della pandemia che sarebbe arrivata. Come spesso accadeva, era lui a suggerire il tema di ogni nuova edizione del Festival, proposto agli artisti invitati. Festival della Morte, Sagra dello Psicopompo, Morte della cultura occidentale, si scherzava sul titolo della prossima edizione del Festival. Sarebbe stata la XVI insieme. La Storia della Morte ha probabilmente inizio con la nascita di tutto, miliardi di anni prima che l’uomo ne venisse a conoscenza e trovasse spiegazioni metafisiche o traesse quesiti filosofici sull’Esistenza. Non potendo fare una esegesi della Morte, in questa presentazione avremmo seminato qualche suggerimento senza l’intenzione di voler restringere mai il campo alla sensibilità creativa degli ospiti in programma. Avremmo sicuramente fatto cenno a problemi etici, economici e politici relativi all’annientamento dell’ecosistema da parte dell’uomo, l’ambiente in cui anche egli vive, ai caduti in guerra e ai conflitti tuttora in corso sul nostro pianeta, all’espressione incivile della Pena di Morte. Alle stragi di massa avremmo giustapposto le morti silenziose per eternit, per abbandono, per solitudine, e la morte per chi resta. Dal rigor mortis alla petite mort, dalle morti bianche alla Morte Rossa di Poe. Oltre tutto ciò, uno dei primi motivi per cui Franco propose questo argomento era nell’urgenza di riaprire il dibattito pubblico sulla dolce morte o morte serena, l’eutanasia. Nel dibattito – a introdurre i concerti del 28 luglio – coinvolgeremo un esperto in materia, il dottor Francesco Terrasi, dirigente medico della Casa di Cura Villafranca di Trento. Attualmente in prima linea per curare i contagiati dal virus, il dottor Terrasi era un amico fraterno di Franco ed è quindi un fratello di lugocontemporanea. Scrive Terrasi:
«Conoscevo Franco Ranieri dai primi anni di liceo, ci avvicinò tramite amici comuni la passione per la chitarra, poi una semplice frequentazione diventò un’amicizia profondissima. Ho sempre considerato Franco un fratello maggiore. Nonostante il mio trasferimento in Trentino, non passava settimana che non ci sentissimo e, quando venivo a Lugo e ci trovavamo per qualche ora, era come se in realtà non fossi mai andato via. […] Si dimostrò sempre molto interessato alle mie vicende umane e lavorative e a questo tipo di problematiche. […]

Era un mondo che non conosceva ma era di una tale sensibilità che non poteva non colpirlo. In quegli anni già solamente ottenere il testamento biologico sembrava un’impresa impossibile, adesso il testamento biologico è legge, la sedazione terminale è pratica comune. Siamo andati avanti? Poco. Nella realtà, a poco servono le leggi se non sono accompagnate da norme attuative specifiche, ma soprattutto se non si svuota il dibattito su questi argomenti da assurde ideologizzazioni e argomentazioni da guerra santa. Con la medicina moderna la malattia e la morte hanno perso valore sociale. Se non si muore per fatti traumatici o per malattie iperacute, pochi muoiono nel proprio letto, tra le proprie cose, circondati dai propri cari. La morte è un evento che non è più considerato naturale, per cui la si medicalizza, nel tentativo di posporla, spesso, ancora troppo spesso, con mezzi che nulla hanno di umano e scientifico. Il vero problema è quello della scelta personale, che è un diritto inalienabile di qualsiasi persona, di qualsiasi credo religioso e filosofico e, si badi bene, non sto propugnando solamente il diritto ad avere una morte dolce o una eutanasia, ma anche il diritto ad avere tutte le cure logicamente possibili fino all’ultimo secondo».

Franco amava la vita perché – nella gamma delle possibilità – considerava l’eventualità di una caducità ineluttabile. Sicuramente era troppo pigro per sperare nell’eternità e, poiché si definiva agnostico, valutava l’ultraterreno con il beneficio del dubbio.

Di fatto sapeva di storia delle religioni quanto di filosofie orientali, dalle dottrine esoteriche alle valenze caleidoscopiche dei tarocchi fino alla cabala napoletana.

La spiritualità per Franco era una faccenda intima e indicibile che non andava confusa con istanze dogmatiche. Si interrogava sull’usurpazione di certe filosofie orientali fuorviate all’occidentale, ma le domande nascondevano probabilmente un suo problema, poiché era divenuto fisicamente troppo ingombrante per essere alla moda e praticare yoga ormonale.

Lontano anni luce dalla palestra del solipsismo nella catarsi chimica della ripetizione ascetica, alla ricerca di sé preferiva quella dei “se”, soprattutto “se” riguardavano tutti, reietti compresi, e se correlati ai concetti di condivisione e democrazia.

A scanso di equivoci, in rispetto alla memoria, va precisato che Franco aveva forse qualcosa da ridire su chi esercita un culto come strumento manipolatorio di potere – in primo luogo quello politico-economico – ma aveva grande rispetto per chi lo pratica e vi ripone le proprie speranze. Questo è un aspetto inviolabile che ha a che vedere con vitali sentimenti umani.

Ma sono altrettanto rispettabili e contraddittoriamente vitali anche le parole di Borges – autore imprenscindibile nelle conversazioni con Franco – quando asserisce:
«La parola morte mi suggerisce una grande speranza. La speranza di smettere di essere. […] Morirò e cesserò di esistere, e cosa posso desiderare di più di questo, cosa può esserci di più gradito della morte, che tanto assomiglia al sonno che è forse la cosa più gradita della vita. Vale a dire, diffido dell’immortalità, ma questo non è per me motivo di tristezza quanto di felicità: pensare che cesserò».

E ancora Borges:
«Essere immortale è cosa da poco: tranne l’uomo, tutte le creature lo sono, giacché ignorano la morte; la cosa divina, terribile, incomprensibile, è sapersi immortali. […] La morte (o la sua allusione) rende preziosi e patetici gli uomini. Questi commuovono per la loro condizione di fantasmi; ogni atto che compiono può esser l’ultimo; non c’è volto che non sia sul punto di cancellarsi come il volto d’un sogno. Tutto, tra i mortali, ha il valore dell’irrecuperabile e del casuale».

A dispetto dell’oblio in cui releghiamo il pensiero della fine, emerge la coscienza di quanto la morte costituisca dolorosa premessa alla rinascita. La palingenesi, anelito ancestrale dell’umanità, consegue inesorabilmente a una fine, a una cesura. Si deve morire per poter rinascere.